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Dal nostro “Cantuccio”

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Sì, cantuccio inteso in primis come luogo non bombardato da rutilanti spot ma raccolto. O se vogliamo un non luogo dove rilassarsi e assaggiare un dolcetto, un biscotto che tra Umbria e Toscana chiude un pranzo oppure una cena in un immancabile tandem con il vinsanto. Da non molto questo dolcetto secco dove sono imprigionate numerose mandorle, nella variante Toscana, si fregia del marchio IGP. E’ una importante conquista perchè questo riconoscimento e questa identità, intanto proteggono dalle imitazioni e inoltre accendono una sorta di riflettore sul prodotto e sulla sua qualità regolata da un disciplinare. Per conseguenza, le esportazioni all’estero aumentano e anche l’interesse per il prodotto al di fuori dell’area geografica di produzione.

L’unico pericolo è il prezzo, un po’ per la selezione degli ingredieti regolata dal disciplinare di produzione che esige materie prime di assoluta qualità e un po’ dall’avidità di alcuni produttori o venditori….però è un rischio che fa parte del gioco. Ma poi perchè si chiamano cantucci? I cantucci non sono le parti finali del pane o di un grosso biscotto? E sì, infatti anticamente i fornai, prima di vendere alle classi più agiate i biscotti, per una sorta di riguardo verso l’importante cliente, lo privavano appunto dei due cantucci che risultavano “secchi”. Questa “rimanenza di cantucci” veniva venduta per pochi soldi alle classi più disagiate. Tale successo riscosse questa trovata che si iniziò a produrli di proposito. Così i biscotti, tagliati a pezzetti un po’ trasversali ripassati in forno, diventarono una croccante consuetudine e conservarono il nome di cantucci. Eggià noi poveri ci inventiamo ricette, abitudini per sfuggire alla fame, e poi i ricchi non sanno resistere a quello che il popolo inventa ed elegge a leccornia: vabbè prendiamoci questa piccola rivincita.

Un ultima cosa, il bon ton ci lascia liberi di intingere il cantuccio nel vin santo? Pare di no…tuttavia in una allegra tavolata di buontemponi oppure in famiglia io credo che sia quasi d’obbligo farlo. Il giorno che saremo invitati ad una cena di gala, mettiamo dalla regina d’Inghilterra, staremo attenti a mordere il croccante biscottino e solo dopo aver deglutito accosteremo il bicchiere alle labbra per un sorso di vino. Questo almeno fino a quando i nobili non si impossesseranno anche della nostra abitudine di inzuppare e decideranno che è pratica piacevole e lecita. Che ci crediate o no, non c’è nulla da fare, aveva ragione il grande Tolstoj a dire che sono la gente del popolo e non i governanti e i ricchi a fare la storia.

Nunzio Dell’Annunziata