Non potevo dire no, all’assessore Luca Marchegiani, quando mi ha chiesto di presentare e parlare con Antonio Mugnari, all’interno di uno degli incontri previsti nei cortili pubblici pievesi, in questa strana estate del duemila venti. Come facevo? Ho conosciuto tardi Antonio, quando è andato in pensione, quando ha lasciato le sue locomotive ed è tornato a Città della Pieve. Ma da allora i rapporti sono stati assidui. Almeno fino a quando ha cominciato a svernare nelle isole spagnole per pensionati europei ed ha così cominciato a perdere i contatti con me ma anche con l’ambiente pievese.
Antonio è stato uno dei fondatori della Libera Università di Città della Pieve, è stato il vice presidente più longevo durante l’altrettanto longevo mandato di Daniela Barzanti, è stato un animatore tra i più ricordati, anche per la sua grande capacità di comunicazione, a volte addirittura ritenuta lievemente eccessiva. L’ho conosciuto come convinto socialista , un po’ in rotta con le varie dirigenze, ma corre voce che, conservi da qualche parte, lui e non altri, quella bandiera socialista dove la falce ed il martello poggiavano sul libro e sul sole nascente.
Con Antonio, con Giuliano Possieri, che ci ha lasciati, con Ario Acquarelli che si è insediato in Veneto, abbiamo organizzato le prime spedizioni a Cremona, quando facendo il “Laboratorio sul Filo della Memoria” sul calcio a Città della Pieve, scoprimmo un archivio della società Frazzi, la Fiat di Città della Pieve, per gran parte del secolo scorso, collocato in uno scantinato della locale CGIL, dove una dolce ragazza dal nome Teresz, “ci stava aspettando…”.
Sempre con Antonio abbiamo fatto pezzi importanti di strada nei due successivi laboratori dedicati il primo al “lavoro e Impresa nel 900 a Città della Pieve”, il secondo quello più specificamente dedicato alla storia della Fornace Frazzi che vide protagonisti e promotori anche due giovani architetti, Francesca Ciarini e Daniele Fadda. Benché Antonio, avesse lavorato per poco tempo nella fornace di Ponticelli, con le mansioni di addetto alle spedizioni, la sua memoria sulla dislocazione dei diversi impianti e soprattutto sul ciclo produttivo, insieme ai ricordi di Giuliano Possieri è stata fondamentale per la ricostruzione del mondo del lavoro di quella fornace di cui, colpevolmente, le amministrazioni del primo duemila, hanno consentito la totale distruzione. Per fortuna la memoria di Antonio ci consente di avere ancora un palstico fedelissimo, da lui realizzato che ancora è visibile, nell’ultima sala del Museo della Scienza al primo piano di Palazzo della Corgna.
Il secondo motivo per cui ho accettato volentieri ha invece attinenza con l’oggetto principale del pomeriggio. La sua attività di intarsiatore prima e di liutaio poi e la grande attenzione sollevata da una delle sue ultime opere, cioè “il violino del Messia”.
Antonio nasce in una famiglia di contadini a Salci. Salci nei primi anni del 900 era la frazione più grande di Città della Pieve, dove esisteva l’azienda agricola più estesa ed importante, che ruotava attorno al borgo ed alla villa del proprietario. Il socialismo prima ed il fascismo poi, quelli nostrani, nacquero a Salci, , anche interessando la zona circostante, che allora si chiamava circondario e faceva riferimento ad Orvieto. Quando Salci cominciò a spopolarsi, per la progressiva crisi della mezzadria e la sostituzione con l’impresa a conduzione diretta, una parte dei salcesi si fermò a Ponticelli, la seconda ondata fece invece tappa a Moiano.
La famiglia Mugnari fu tra quelle che si fermarono a Ponticelli, ed i fratelli cominciarono a fare i falegnami, sempre legati, ai fabbisogni dell’attività agricola, facendo botti e carri per buoi. Il battesimo nel mondo del lavoro di Antonio avvenne in quella bottega, piena di legname e segatura. Prima dei veloci passaggi alla Frazzi e all’Istituto Tecnico di Chiusi, dove insegnò per un breve periodo le materie tecniche. Prima della vita lavorativa interamente dedicata alla ferrovia, al treno, alla locomotiva che per diversi anni fu ancora mandata a carbone, “su alla macchina a vapore” come dice la canzone.
A questa sua principale esperienza lavorativa di Mugnari sono stati dedicati diversi articoli dal giornale “il Moggio”,il periodico della Parrocchia pievese, diretto da Gaetano Fiacconi e Vania Bartoccioni, nella sua versione ancora cartacea.
Quando Antonio, dopo avere peregrinato in giro per l’Italia, torna da pensionato a Città della Pieve, non ha problemi economici, perché anche se con i pensionamenti anticipati di quegli anni, le Ferrovie trattavano sempre bene. Ha solo il problema di come riempire il suo tempo, Un modo lo abbiamo descritto prima con il suo impegno all’interno della Libera Università, l’altro lo riscopre nel passato della sua famiglia. Una riscoperta, che si fonda su un dato inconfutabile. Quest’uomo, questo ormai ottantenne, dal passato di macchinista ferroviere, ha le mani d’oro, mani di artigiano artista, accompagnate con una cervello dalle discrete doti tecniche.
Per prima cosa si mette a fare mobili, mobili particolari, mobili ispirati alla fine del settecento francese, a Luigi XVI, mobili realizzati con la tecnica dell’intarsio. Tra mobili interi e miniature Antonio ne realizza una cinquantina di pezzi. E sono una sorpresa per tutti. La fucina di questo lavoro è un fondo ristrutturato all’interno del cortile di Palazzo Bandini, uno dei più belli fra i cortili privati di Città della Pieve. Dai mobili agli strumenti musicali il passaggio è dovuto all’ amicizia con Gastone Novelli, appassionato di chitarra, marito di Angela Cingottini, lei docenrte della Università per Stranieri di Siena ed della Libera Università pievese e grande appassionata della cantante lirica pievese Marietta Piccolomini.
Con l’incontro scontro come lo defnisce lui con Gastone Novelli ha inizio il ciclo delle chitarre. Mi pare che alla fine ne costruisce otto e tutte vengono suonate in diverse occasioni da artisti di prima fascia nel campo musicale specifico. Fino all’approdo con il violino, dopo il mandolino, che è dovuto, come ci ha ricordato nel cortile di Palazzo Orca ai continui stimoli del maestro Carlo Pedini, altro benemerito pievese non pievese, a capo da quasi mezzo secolo della Corale prima e Polifonica Pievese poi, cui andrebbe riconosciuta la cittadinanza onoraria di Città della Pieve, oltre quella di socio onorario della Libera Università che già gli è stata attribuita da diverso tempo.
Con il violino si approda al tema specifico dell’incontro fatto nel cortile di Palazzo Orca, l’ex convento degli Scolopi, in un periodo di grande espansione della presenza monastica a Città della Pieve. Il tema è il “violino del Messia” di Stradivari, il massimo liutaio nella storia della musica, quel violino viene considerato uno dei pezzi più importanti realizzati dal maestro cremonese.
Fatto un primo violino giudicato da tutti di grande fattura e di speciale sonorità, Antonio infatti decide di misurarsi con
“(“un violino “Barocco” diverso da quello classico per sonorità, per timbro ( le corde non sono più metalliche, ma di budello animale ) e diverso anche per tecnica costruttiva soprattutto del manico. Il modello è quello di uno Stradivari come risulta da disegni ricavati dalle radiografie del violino originale in possesso dell’ Ashmolean Museum di Oxford. A. Mezzano”)”
Il “violino del Messia viene realizzato ed il caso, ma un caso eccezionale, vuole che nella prima uscita dello Stradivari originale, quello custodito ad Oxford, in occasione di un anniversario portato in mostra a Cremona, nello stesso giorno grazie ad una iniziativa del FAI e delle Ferrovie storiche italiane, la copia realizzata da Mugnari suoni nella cattedrale della stessa città, patria di Stradivari e dei liutati, Cremona.
Nel corso della serata abbiamo avuto la possibilità di ascoltare e di apprezzare il suono del “violino el Messia” di Mugnari sia nella registrazione fatta a Cremona, sia dal vivo grazie all’esibizione del giovane Giovanni Pedini, il promettente figlio di Carlo.
Ma e’ stato un pomeriggio di intrecci, quello vissuto nel cortile di Palazzo Orca. Di quello tra le varie vite di Antonio e quello con la Libera Università , ne abbiamo parlato. Io però vi ho visto subito un intreccio con le politiche culturali della città e con quelle seguite per valorizzare ed implementare il nostro patrimonio museale.
Nel 1994 il Comune di Città della Pieve, organizzò a Palazzo Corgna una mostra di tre artigiani, due del ferro ed uno del legno, Mario e Claudio Lispi e appunto Antonio Mugnari. Giustamente quella mostra fu definita di artigianato artistico. Tra l’altro la famiglia Lispi è ancora in piena attività e sta continuando a qualificare la sua produzione all’interno di un mercato di nicchia sempre più esigente. Per questo pensando a questa iniziativa ho creduto che poteva essere messo all’ordine del giorno della serata un primo passo verso l’inserimento dell’artigianato artistico locale all’interno del percorso museale cittadino. Percorso museale che finora ha riguardato, giustamente, il grande patrimonio artistico pittorico, che si appresta, a breve ad inserire organicamente quello archeologico, legato alla tomba etrusca di San Donnino, ma che potrebbe comprendere anche quello artigianale di cui stiamo parlando.
Oltre ai Lispi, ed a Mugnari, qui da noi ha lavorato un altro grande fabbro di qualità, Pietro Saracini, che ha lasciato diverse opere già esposte in più occasioni. Potrebbe comprendere, come già ricordato dallo stesso assessore, nelle forme da definire, l’opera di un artista come Filiberto Cappannini. Un luogo museale di questo tipo potrebbe dare una giusta collocazione anche al lavoro di ricostruzione storica fatto sulla Fornace Frazzi, prima che vinca la sua dispersione.
E’ stato pensando questo, è stato ritrovandomi tra le mani l’album delle firme della mostra del 1994, con i relativi entusiastici commenti. E’ stato pensando a quel discusso conduttore televisivo che risponde al nome di Bruno Vespa, ed alla sua trasmissione “Porta a Porta” dichiarata ormai la terza camera del parlamento. E’ stato pensando ai contratti firmati da Berlusconi in quella sede con il popolo italiano, in occasione di qualche elezione. E’ stato a quel punto, ovviamente anche con un pizzico di ironia, che ho pensato di far firmare all’assessore Luca Marchegiani, un impegno sulla valorizzazione dell’artigianato pievese ed a metterlo per scritto di fronte al popolo pievese. C’erano, come testimoni, del resto, una cinquantina di persone presenti, c’era Ettore Serpico che riprendeva per “Città della Pieve Viva”, c’ero io che non ero Bruno Vespa, ma nientemeno che l’editore del Corriere Pievese e dell’Ora del Trasimeno. La platea quindi era di indubbio riguardo e l’assessore ha firmato. Ha firmato una sorta di impegno, una sorta di contratto. Come Berlusconi a “Porta a Porta”: Speriamo per il bene di Città della Pieve di avere esiti diversi. Del resto io non sono Vespa e Luca Marchegiani non è Berlusconi. Ed il bel cortile degli Scolopi, non è “Porta a Porta”: E soprattutto nessuno di noi ha voglia di prendere per i fondelli chi ci ha ascoltato e chi ci legge.
Gianni Fanfano