L’occasione per scrivere è una cena tra ex colleghi. Questa non sarebbe una grande notizia, se non fosse che appartenevamo ad un azienda pubblica e lavoravamo in sanità: a cena infatti ci siamo ritrovati ancora una volta noi, “quelli del San Sebastiano”, ovvero gli operatori dell’area direzionale, a Panicale, della ex ULS del Lago Trasimeno.
Un gruppo numeroso di figure professionali diverse accomunati da una esperienza lavorativa appassionante. Ma cosa c’èra mai di così appassionante nel lavorare in una azienda sanitaria pubblica- con i bisogni mai totalmente soddisfatti delle persone e le risorse che non bastano mai -tanto da farci avere la voglia di rincontrarci già per la seconda volta a 20 anni di distanza?
Oserei rispondere: la consapevolezza di stare costruendo un modello territoriale, di stare realizzando la prima grande riforma sanitaria italiana ( la legge 833, varata nel 1978) – in una Regione che si accreditò presto sul piano nazionale come tra le migliori nella programmazione sanitaria, e in una territorio, questo del Trasimeno, citato ad esempio per essere un laboratorio di idee (ricordo, ad esempio, un programma di monitoraggio della spesa farmaceutica che coinvolse tutti i medici di famiglia, guidato dal Professor Del Favero della Università di Perugia) e un precursore di modelli organizzativi (ricordo una delegazione di colleghi spagnoli venuti a studiare il SSN italiano che il Centro Sperimentale per l’Educazione Sanitaria della Università inviò da noi x osservare l’organizzazione distrettuale -gli attuali Centri di Salute nascono allora- così come è di allora la trasformazione dell’ospedale di Panicale – chiuso all’epoca del Comprensorio del Trasimeno- in struttura per anziani).
Si respirava aria progettuale e clima di squadra, un mix favorito da una direzione aziendale- Presidente Palmiro Giovagnola -attenta alla innovazione così come alle persone, operatori e utenti.
Ma in questi venti anni il mondo è andato cambiando, anche quello della salute. La politica sanitaria regionale non è stata capace fino in fondo di riequilibrare veramente la spesa ospedaliera a favore di quella territoriale e poi, allo scopo di garantire ( diritto sacrosanto) a tutti i cittadini le stesse opportunità di cura ha di fatto livellato al basso le prestazioni offerte nei diversi territori, complice una politica nazionale di tagli trasversali e non mirati di risorse, e una dissennata interpretazione della pur necessaria visione aziendale anche della cosa pubblica.
Ma nel frattempo andava mutando anche la popolazione( sempre più anziana) e la fisionomia dei bisogni di salute, che hanno chiesto sempre più assistenza alla cronicità e della riabilitazione, e sono cambiate anche le modalità della comunicazione, producendo gran massa di notizie relative al benessere ma rendendo i cittadini più influenzabili e più fragili rispetto alle scelte corrette per tutelare veramente la propria salute.
Sul nostro territorio, nel frattempo, gli amministratori locali non sono stati in grado di affrontare con la necessaria lungimiranza le sfide che il cambiamento dei bisogni di salute avrebbero comportato, rimanendo sfiancati nelle decennali battaglie sulla collocazione di un presidio ospedaliero unico, con la conseguenza che oggi tutti hanno sotto gli occhi , cioè quella di essere l’unico territorio dell’Umbria a non averne.
Ma ovviamente non tutto è peggiorato; oggi abbiamo nella Regione e nella Azienda USL cui facciamo riferimento – la n. 1- servizi e presìdi in linea con i nuovi bisogni di salute e assistenza, che sono anche punte di eccellenza: il Centro Ospedaliero di Riabilitazione Intensiva ( C.O.R,I,) di Passignano , i Centri per i Disturbi del Comportamento Alimentare di Città della Pieve e di Todi, e, a Perugia : i Centri diurni per malati di Alzheimer e quello per le Cure Palliative, solo a citarne alcuni.
Anche le dimensioni delle Aziende Sanitarie territoriali negli anni è cambiata e le ASL in Umbria, come in altre regioni, sono ora meno numerose e più grandi; quel piccolo mondo affacciato sul Lago Trasimeno è rimasto, certamente, nei servizi e nelle strutture ancora funzionanti ma soprattutto nel ricordo di quelli che ci hanno lavorato: noi, “quelli del S. Sebastiano”.
Daniela Barzanti