Ci hai lasciato stamattina, al Policlinico, a Perugia.
Ma ci avevi lasciato ormai da qualche tempo, anche se c’eri con la tua silenziosa e routinaria presenza. Colazione, biblioteca, pranzo dalla Silvana, ritorno nella tua tana, per scendere qualche volta per un libro o un caffè. Fino agli ultimi tentativi di pendere possesso di una strumentazione a te sconosciuta e quasi ostile, un telefono che mandasse messaggi Whats App.
Ci hai cominciato a lasciare quando la malattia si è manifestata nelle sue prime forme, ma forse anche prima, quando dicevo agli amici che mi chiedevamo di te, “che non eri più Valerio”.
Il Valerio ricercato in ogni cena, festa o evento per la sua dirompente capacità di animazione. Sempre raffinata, colta, mai volgare. Sempre non ordinaria.
Non eri più quel Valerio che ha segnato la storia della cultura a Città della Pieve nella seconda parte del secolo scorso. Sicuramente. Almeno per venti anni, dagli inizi degli anni ottanta fino alla fine del secolo. Ma forse ci avevi incominciato al lasciare addirittura dopo la morte della amata madre Anita, cui ti legava un rapporto che ha segnato in modo indelebile la tua esistenza.
Hai segnato la storia pievese nelle politiche culturali del Comune, con Fonti e Giovagnola sindaci, con i diversi assessori, con i diversi interlocutori a livello regionale di cui eri diventato un punto di riferimento. E dove forse sarebbe stato naturale che tu concludessi la tua carriera professionale.
L’hai segnata nella valorizzazione del patrimonio artistico, architettonico e storico della nostra città, riproponendo periodicamente i percorsi di recupero e di restauro da perseguire. Anche se non sempre ascoltato.
L’hai segnata dal punto di vista della ricostruzione , dalle sue origini. Proverbiali restano le tue battaglie contro le presunte origini etrusche del nostro paese, oppure quelle a difesa dell’intervento filologicamente corretto sulle facciate piuttosto che lasciate con il mattone a vista. Fino a quell’ultimo corso che facemmo insieme nella Libera Università, sul secolo breve a Città della Pieve in cui tu parlasti dell’evoluzione urbanistica e dei personaggi di rilievo del secolo.
L’hai segnata nel contributo che hai dato al Palio dei Terzieri, nella sua fase di affermazione regionale, con il Terziere Castello prima, e soprattutto con la responsabilità del gruppo del Comune e del carro allegorico. Fino al cambio della Gara al Campo de li Giochi, dove ricercasti le basi storiche per passare alla Caccia al Toro, con la giostra.
Nelle pagine del Corriere Pievese sono stati pubblicati quasi tutti i tuoi scritti prodotti in diverse occasioni. Ma di te riparleremo. Forse così a caldo mi viene da pensare che sarebbe opportuna una pubblicazione unitaria che li ricomprendesse tutti. Così come mi viene in mente la necessità di ripensare questa tua vita qui alla Pieve, dove tornasti negli anni settanta, dopo esserti laureato a Firenze in una delle più prestigiose facoltà in storia dell’arte. Ripensare anche un’amicizia. Che si consolidò in quei “favolosi e terribili anni settanta”. E scherzare un po’ sui “neuro” che ti prendevano sul palcoscenico, prima dell’entrata in scena, quando diventammo per qualche tempo tutti attori, tu compreso ed andavamo in giro per l’Umbria a dire in uno spettacolo dedicato al Cile ed alla sua tragedia, che “La Muerte no acaba nada”. Appunto Valerio. “La Muerte no acaba nada”
Gianni Fanfano