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Voto In Umbria. Sorbello “ In Umbria rosso sbiadito, la destra non sia populista”

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Giornale dell’Umbria del 07-07-2015 – di Pierpaolo Burattini

Dopo il professor Roberto Segatori e il presidente dell’Aur Claudio Carnieri, continua la serie di interviste a sociologi, storici ed intellettuali, per dare una lettura, sotto diverse angolazioni, di quanto avvenuto in Umbria alle ultime elezioni regionali.

Oggi è la volta del professor Ruggero Ranieri di Sorbello, docente ed esperto di Storia economica contemporanea, che ha ai nostri occhi una caratteristica ben precisa: quella di guardare al teatro della politica con quella giusta dose di disicanto, che però mai si capovolge in cinismo, una specie di passione “sorvegliata” che al partito preso, perennemente sulle barricate, preferisce l’uso del paradosso e la frequentazione degli spazi della contraddizione.

Sorbello, dopo una carriera accademica in Gran Bretagna, ha insegnato in varie università italiane e attualmente collabora a progetti di ricerca nazionali e internazionali. Presiede e dirige la “Fondazione Ranieri di Sorbello” di Perugia, che promuove iniziative culturali e attività di conservazione storico-artistica.

Sorbello, di queste elezioni regionali che cosa l’ha colpita di più?

«Non si può dire che l’esito di questa consultazione regionale sia stato una grande sorpresa. Forse l’elemento più sorprendente è stato il risultato abbastanza clamoroso della Lega Nord, che ha raggiunto il 14% dei voti, contribuendo al risultato dello schieramento di Claudio Ricci, che ha raggiunto il 39%, giungendo a insidiare la vittoria, prevista dai più, del centrosinistra. In sostanza l’affermazione della Lega ha coperto il risultato modesto del resto del centrodestra. Che cosa significhi politicamente, poi, questo voto alla Lega, è tutto da esplorare».

Secondo lei cosa significa?

«A mio avviso si tratta, probabilmente, di un voto di rabbia e di protesta, prodotto anche di una situazione economica e sociale molto difficile. A questa nuova protesta, di carattere radicale, va aggiunta quella rappresentata dal Movimento 5 Stelle, un voto forse meno rabbioso ma ugualmente espressione di una forte sfiducia non solo nei vecchi partiti e nella classe dirigente, ma, direi, della politica in quanto tale, della capacità della politica di operare cambiamenti positivi. Il voto dei 5 Stelle, in questo senso, è assimilabile al forte tasso di astensionismo: molti cittadini non credono più a niente, non vanno a votare o se ci vanno votano per un movimento che congela i loro voti in attesa di non si sa quale grande evento o trasformazione».

Professore, ci siamo risvegliati e accorti che politicamente l’Umbria è divenuta contendibile o invece ogni partita elettorale ha una sua dinamica e lettura a parte?

«Credo che ormai da molti anni si assista ad uno smottamento del consenso larghissimo e incondizionato di cui godeva la coalizione di sinistra, costruita intorno al Pci e ai vari partiti che lo hanno seguito. Vi sono state molte affermazioni dello schieramento di centrodestra, o di schieramenti civici, che lo testimoniano ampiamente: l’ultimo episodio si è verifìcato nelle elezio- ni comunali di Perugia dell’anno scorso. Il risultato di queste elezioni regionali, con lo stretto margine di vantaggio del Pd e dei suoi alleati, non è quindi né episodico, né incomprensibile, ma giunge al termine di un lungo processo di erosione della base sociale e politica che aveva garantito il potere “rosso”. L’Umbria, quindi, è elettoralmente contendibile e l’elettorato ne ha dato ormai molti segnali. Il problema se mai è contendibile da chi e per fare che cosa».

Interrogativo non da poco, proviamo a fare qualche passo in avanti.

«Da anni, insieme a gruppi di amici d’ispirazione liberale, democratica, e variamente riformista, mi sono battuto contro la preponderanza di uno schieramento di sinistra, che giudicavo illiberale, dirigista e intimamente conservatore. In questa battaglia siamo spesso stati soli, con un centrodestra regionale incapace di una forte, chiara opposizione, spesso connivente in politiche trasformiste e poco chiare. Si potrebbero fare molti esempi. A Perugia, a me, e a molti che la pensano come me, è riuscita una operazione politica e amministrativa che ritengo, tuttora, straordinaria. Siamo riusciti non solo a mandare a casa una Giunta di sinistra abbastanza screditata e priva di progetti, ma siamo riusciti anche, sulla base di un risultato modesto raccolto da una (o due) formazioni civiche, ad imporre anche al centrodestra un programma e una Giunta civica, attenta alle ragioni della partecipazione, dell’ambiente, della trasparenza e della buona amministrazione. Molti non se ne sono ancora accorti, ma è successo proprio questo: un piccolo gruppo, guidato da un buon candidato come Urbano Barelli, con le idee chiare, ha fatto la storia della città».

Se ho capito bene, secondo lei il “laboratorio Perugia” a livello regionale non è stato esportato. «Quanto avvenuto a Perugia doveva essere un segnale anche per le elezioni regionali. Un segnale che Ricci però non ha raccolto o ha raccolto molto parzialmente. Si trattava di costruire una forte piattaforma civica, promuovendo idee nuove sul governo regionale, e indicando uomini e persone nuove, scelte sulla base delle competenze. E invece si è riproposto, essenzialmente, un cartello delle forze di centrodestra, dominate, peraltro, oggi, a livello nazionale e quindi anche regionale, da un forte populismo, una carica anti-politica, una retorica anti-europea con venature illiberali, protezioniste e autoritarie. È vero che la legge regionale (peraltro una legge sbagliata che non rispecchia le ultime indicazioni della Corte Costituzionale) non favoriva una pluralità di candidati, ma non è stato fatto quasi niente in questa direzione. Risultato: una affermazione del centrodestra nei numeri, che ne segnerà l’ulteriore indebolimento politico. Non è difficile vedere come nel nuovo Consiglio ci sia una forza politica, il Pd, con dieci consiglieri e poi una serie di frammenti di opposizione che non conteranno niente, in quanto è quasi scontato che non raggiungeranno una posizione comune. Insomma, per i prossimi anni siamo affidati ancora alle alchimie interne del Pd, e questo, realisticamente, è l’unico scenario politico regionale».

Facciamo due passi in avanti: quali sono le linee economiche su cui si dovrà misurare il nuovo governo regionale?

«La lunga crisi economica ha colpito e fiaccato l’economia umbra in modo molto grave. Il discorso sarebbe molto lungo ma in poche parole sono finite molte illusioni: non esiste una via regionale allo sviluppo, magari basata su pletorici tavoli di concertazione. I territori, come le aziende, devono competere, e collegarsi con l’economia europea e globale. Serve trovare nuovi motori di sviluppo: certo non più la proliferazione di impieghi pubblici, ma, invece, le reti innovative, le produzioni di qualità in vari comparti e soprattutto il motore del turismo e delle risorse culturali. Sono importanti le infrastrutture materiali e immateriali per cui l’Umbria è molto indietro».

L’Umbria ha la forza per fare tutto ciò?

«E anche inutile illudersi che l’Umbria possa continuare a rappresentare in qualche modo un territorio autonomo e autosufficiente: il tema dello sviluppo delle macro-regioni riemergerà, cresceranno gli stimoli a creare reti innovative fra città – il tema delle smart cities- insomma andrà avanti chi saprà competere nell’economia globale, facendo proprio un quadro decisionale misurato sulle grandi dimensioni e sulle interconnessioni con altri soggetti e altri territori».

Il nuovo Esecutivo le pare all’altezza?

«Non ho particolari giudizi da dare: mi sembra che le persone scelte siano competenti e serie, o almeno lo voglio sperare. Spero che assecondino le misure di riforma che il governo Renzi ha messo in campo, senza indulgere in provincialismi e arretratezze. Credo che la presidente Marini e la sua Giunta debbano uscire dal proprio recinto e fare appello alle persone di qualità e di buona volontà che pure nella Regione esistono, coinvolgendole su progetti di riforma ambiziosi e liberali. Dopo una lunga sbornia di regionalismo auto-referenziale, di clientelismo di scarsa qualità, ne abbiamo molto bisogno».

Che tipo di opposizione si auspica e si aspetta?

«L’opposizione è il sale della democrazia, ma deve essere seria e costruttiva, volta a preparare idee e forze per un ricambio di governo, non a sollevare polveroni e demagogie, tantomeno a delegittimare gli avversari. Ricci è un buon amministratore e, mi sembra, una persona competente: dovrebbe lavorare in questa direzione. Che cosa succede quando vi è una democrazia bloccata e vince sempre uno schieramento? Semplicemente, mancano le capacità di una classe dirigente alternativa. E un po’ quello che sta succedendo a Perugia: il cambio di amministrazione è stato positivo, ma i nuovi che sono entrati hanno dovuto cominciare una faticosa gavetta di apprendimento. Anche a Perugia era mancata una vera classe politica di opposizione: per fortuna c’erano ancora forze civiche con idee ed energia, altrimenti non andavamo da nessuna parte». 3/