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Umbria tra vino e leggende

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L’Umbria è l’unica regione dell’Italia peninsulare a non essere bagnata dal mare. Il suo territorio infatti è tutto percorso da un paesaggio collinare particolarmente vocato alla viticultura. A dire il vero la coltura della vite divide il primato con l’olivo, altro vanto della cultura contadina e gastronomica umbra. Già in epoca etrusco-romana il vino umbro era molto apprezzato e autori classici come Plinio il Vecchio e Marziale ne hanno tessuto le lodi negli scritti che ci hanno tramandato.

E’ interessante ricordare come anche verso il 1400 il vino umbro fosse apprezzatissimo, al punto che pittori come il Perugino e il Pinturicchio, avevano chiesto come parte del compenso delle opere pittoriche eseguite, una quantità cospicua di buon vino umbro.

In tempi meno remoti si è badato più alla quantità che alla qualità. Questo in tutta Italia. Il motivo di questa tendenza va ricercato nella condizione delle famiglie contadine che traevano grande vantaggio da questa coltura e più producevano, più guadagnavano. Intorno agli anni sessanta però l’enologia umbra viene valorizzata e rilanciata, i viticoltori hanno aggiornato le tecniche nel vigneto e in cantina così che nel 1968 arriva il primo tangibile successo con il conferimento (primo dell’Umbria) della DOC riconosciuta al territorio di Torgiano.

Di più recente successo i vini dei colli del Trasimeno che stanno vivendo un successo sempre crescente. I comuni interessati a questa produzione sono riconosciuti DOC e regalano svariate tipologie di uva. Di quelle a bacca bianca, è molto diffuso il vitigno Grechetto presente in tutta la regione. Inoltre troviamo il Trebbiano toscano, Malvasia del Chianti, Verdello e Verdicchio. Tra le uve a bacca rossa invece c’è il Sangiovese, il Ciliegiolo, Cabernet Sauvignon e Merlot. Tra questi citati, un vitigno interessante è il Gamay, importato circa cento anni fa. Tale è la sua diffusione da essere considerato quasi autoctono.

In un territorio così fortemente votato alla viticoltura e pervaso dal misticismo di S. Francesco mi sembra opportuno aggiungere questa leggenda che appunto unisce la vite e il santo.

LA VITE DI SAN FRANCESCO

Un paesino dell’Umbria ebbe la fortuna di essere toccato dalla santità di San Francesco. Tutta la zona dove il santo aveva pregato, meditato e adorato Dio, si illuminò di un’aurea dove la religiosità, il bene, la carità e la penitenza pervadevano l’aria. La stessa natura, i luoghi e le cose sembravano suscitare delle suggestioni che sicuramente avevano un qualcosa di divino. Addirittura, in una grotta proprio ai margini di questa zona, si diceva che Francesco avesse composto una parte del cantico delle creature.

Tutta la gente dei dintorni cominciò a frequentare il sito attingendone nutrimento per l’anima. Al centro di questo luogo santo troneggiava un’enorme pianta di vite. I tralci si stendevano come lunghissime braccia che riparavano dagli impietosi raggi del sole. I grappoli succosi e vellutati pendevano abbondanti e quando la voce dello stomaco diventava più insistente di quella della coscienza, i pellegrini strappavano chicchi e grappoli per rifocillarsi. La stanchezza si attenuava e la polvere salita nel respiro durante il cammino, si scioglieva con il dolce umore dei chicchi. Dopo era più facile colmare l’anima attraverso una catarsi ispirata dal luogo così splendente di santità.

Il padrone della vite però non voleva sentire ragioni. Tutta l’uva veniva divorata: che cosa doveva pigiare per ottenere un po’ di vino, lui che doveva stentare per un tozzo di pane?

Il frate custode della chiesa che lì era sorta, religioso entusiasta, umile e devoto disse: “Non rammaricarti, vedrai che S. Francesco ti darà tanta uva da ricavare il doppio del vino che avresti dovuto ottenere.”

Ebbene così fu e anche in seguito si verificò lo stesso prodigio. Ancora oggi, non ci crederete, ma l’intero paese non conosce penuria di uva nemmeno nelle annate più sfavorevoli.

Nunzio Dell’Annunziata