Home Rubriche Rassegna Stampa Regionali. Campi: «Da sinistra a destra, errori e vecchi vizi»

Regionali. Campi: «Da sinistra a destra, errori e vecchi vizi»

Condividi

dal Giornale dell’Umbria di Pierpaolo Burattini

Dopo Roberto Segatori, Claudio Carnieri e Ruggero Panieri di Sorbello, continua la serie di interviste a sociologi, storici, economisti e intellettuali, per dare una lettura, sotto diverse angolazioni, di quanto avvenuto in Umbria in occasione delle ultime elezioni regionali.

Oggi è la volta, del professor Alessandro Campi. Organizzatore culturale raffinato (l’ultima mostra a Perugia, quella dedicata a “Machiavelli e il mestiere delle armi” è riuscita a mettere insieme numeri lusinghieri e una platea che è andata ben oltre a quella degli addetti ai lavori), professore di Scienza politica e Relazioni internazionali presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Perugia; direttore del trimestrale “Rivista di Politica ” (sulle cui pagine scrivono intellettuali di vaglia come giovani di talento); editorialista con “II Messaggero “, “Il Mattino” e il “Giornale dell ‘Umbria “, Alessandro Campi non avrebbe bisogno di presentazioni, ma il dovere di cronaca impone e dispone.

Elezioni regionali, come e quando? Il menù della conversazione è obbligatorio, ma gli esiti sono tutt’altro che scontati.

Professore, qual è il dato uscito dalle Regionali che ritiene più importante?

«Sicuramente l’affermazione della Lega, insieme alla conferma che il partito di Grillo è una realtà ormai ben radicata nel territorio. La crescita del partito di Salvini era ampiamente annunciata dai sondaggi, ma colpisce egualmente il 14% dei consensi ottenuto in Umbria. Cosi come impressiona, per restare nel centrodestra, 1’8% ottenuto da Forza Italia. Il problema è che grillini e leghisti rappresentano al momento una vera incognita: li si conosce poco e nessuno sa ancora dire che tipo di opposizione condurranno. Si limiteranno a fare caciara sulla stampa o metteranno mano ai bilanci e alle delibere regionali, per esercitare quel controllo su chi governa che è il vero ruolo di un’opposizione? Lo vedremo presto».

Occhi puntati sul Pd, che ne dice?

«A dispetto di certe previsioni (specie dopo quello che era accaduto a Perugia) ha mostrato una buona tenuta. Molto deve aver contato la paura di perdere dopo cinquant’anni il controllo di Palazzo Cesaroni. Ma va anche detto, per quanto si possa essere critici – come nel mio caso – con la visione dirigista e accentratrice che la sinistra umbra continua ad esprimere, che quest’ultima non aveva da scontare, come in altre parti d’Italia, episodi di malaffare, di cattiva gestione dei soldi pubblici e di manifesta corruzione. Le Regioni – dalla Lombardia al Lazio, dall’Emilia Romagna alla Calabria – negli ultimi anni sono state al centro di scandali d’ogni tipo: pensiamo solo a quelli legati ai rimborsi dei gruppi consiliari. Quella dell’Umbria da questi scandali non è stata nemmeno lambita e ciò, in tempi di antipolitica dilagante, ha consentito al Pd e ai suoi alleati di presentarsi agli elettori come una forza di governo ancora credibile e seria. Resta il fatto che questa sinistra, per quanto ancora forte e radicata, ha comunque perso gran parte della sua spinta creativa e progettuale. La stagione eroica del regionalismo umbro è finita da un pezzo, anche perché non ci sono più le risorse per sostenere le fantasie autarchiche del passato. Le politiche di programmazione economica, se mai sono servite a favorire lo sviluppo produttivo di questa regione, appaiono anacronistiche nel contesto del mondo globalizzato, dove tutto procede a grande velocità. Oggi il problema è liberare le energie, economiche e sociali, presenti sul territorio, non ingabbiarle all’interno di piani, progetti, tavoli di lavoro, protocolli ecc. Il pubblico dovrebbe dialogare e collaborare alla pari col mondo privato, invece di pretendere di indirizzarlo e controllarlo. Ma in Umbria la sinistra renziana, quella cosiddetta liberale e riformista che potrebbe condividere questa impostazione, al dunque ha dimostrato di contare poco, mentre ha dimostrato di contare ancora molto quella di storica derivazione comunista».

Quali sono le mosse che dovrebbe fare questa giunta regionale per liberare quelle energie di cui diceva?

«Mi piacerebbe che facesse poche cose, ma essenziali: alleggerire il peso della macchina burocratica pubblica a livello locale; porre le condizioni, dal punto di vista amministrativo e logistico, per rendere l’Umbria maggiormente attrattiva dal punto di vista degli investimenti soprattutto stranieri; adottare politiche di promozione (soprattutto in campo turistico) maggiormente coordinate, finalizzate strategicamente e gestite con criteri autenticamente manageriali (se spendo cento in promozione debbo poter dimostrare di aver ottenuto centodieci in termini di ritorno economico, altrimenti si sprecano i soldi dei contribuenti). Già questo sarebbe sufficiente».

L’Umbria è davvero politicamente contendibile?

«La vittoria dello scorso anno a Perugia è la prova più evidente che il centrodestra può essere competitivo. Lo stesso Ricci ha perso con la Marini con uno scarto percentuale piuttosto ridotto, specie se paragonato ai distacchi abissali tra i due schieramenti delle altre consultazioni regionali. In realtà, dal 1994 ad oggi il centrodestra ha conquistato e governato un gran numero di municipi: Temi, Todi, Cascia, Assisi, Torgiano, Orvieto, Spoleto. Bastia Umbra, Sigillo, Gualdo Tadino, Norcia, Passignano, Deruta, Collazzone, Montefalco, Bettona, Attigliano, Nocera Umbra e forse dimentico qualche località minore. Il problema dunque non è la contendibilità politica dell’Umbria, che ormai è evidente, ma cosa il centrodestra ha saputo costruire a partire dalle sue vittorie, in alcuni casi avvenute – ricordiamolo – più che per forza propria a causa delle divisioni inteme alla sinistra. La mia idea è che si sia trattato di occasioni spesso mancate o sprecate, che non hanno portato alla costruzione di un gruppo dirigente sul territorio omogeneo e animato da un progetto politico condiviso e coerente».

Il discorso vale anche per Perugia?

«Il rischio esiste e lo traduco dell’immagine del giro di giostra: se ne fa uno e poi si torna a casa. Nel capoluogo umbro la vittoria di Andrea Romizi – come quest’ultimo sa benissimo – è maturata in circostanze del tutto particolari: un sindaco uscente che aveva raggiunto il picco negativo del gradimento (anche per colpe che oggettivamente non aveva), un livello di degrado urbano percepito dai cittadini come ormai insopportabile (droga, microcriminalità, etc.), i profondi contrasti esistenti all’intemo della sinistra cittadina, una voglia di cambiamento radicale che si era ormai impossessata dell’opinione pubblica, l’alto astensionismo al momento del voto. Una volta ottenuta la vittoria non bisogna però avere paura di esercitare il potere che si è conquistato: è una legge politica piuttosto elementare. La mia impressione è che invece questa Giunta – al netto degli oggettivi problemi che si è trovata dinnanzi, a partire dalle casse comunali vuote – si sia mossa sinora con eccessiva prudenza, al limite del timore reverenziale, nei confronti degli equilibri di potere che ha ereditato. Subisce troppo i condizionamenti dell’apparato amministrativo interno (storicamente legato alla sinistra, ma questa è una ragione di più per metterlo in riga e costringerlo a fare il proprio dovere in modo imparziale), ma soprattutto non esprime ancora una visione strategica autonoma e coerente. Quale è l’idea di città, alternativa a quella che incarnava la sinistra, che questa Giunta ha in testa ad esempio non l’ho ancora capito: si vuole realizzare la città del futuro, intemazionalizzata e aperta all’innovazione, o la si vuole ricostruire intomo ad un’immagine idealizzata del proprio passato municipale? Personalmente considero in modo negativo la caratterizzazione civico-oligarchico antipolitica che questa giunta ha assunto e che forse spiega perché fatichi a trovare una convergenza ogni volta che c’è una decisione politica di una qualche importanza da adottare (ad esempio sui temi dello sviluppo urbanistico, dove il vicesindaco gode di un potere di veto politicamente insensato). Ciò non toglie che dei segnali di cambiamento importanti ci siano stati: in materia di decoro urbano, di politiche per la sicurezza, di valorizzazione del centro storico, anche se c’è da stare attenti all’effetto baraccone pur di riportare i cittadini su Corso Vannucci. Ma il problema del centrodestra è radicarsi come classe dirigente stabile, coma classe di governo credibile sulla base di un proprio progetto politico, non vincere ogni tanto, limitarsi all’ordinaria amministrazione, per poi passare la palla nuovamente agli avversari».

Come si dovrebbe comportare l’opposizione di centrodestra per non schiacciarsi sul grillismo?

«Alla luce del passato, verrebbe da dire che bisognerebbe condurre un’opposizione più incisiva e meno accomodante. Ho sempre avuto il sospetto che il governo dell’Umbria, anche a livello regionale, obbedisse ad una logica di tipo consociativo/spartitorio, con il centrodestra che nel corso degli anni – al di là dei pronunciamenti ufficiali e dunque dell’opposizione di facciata – si è di fatto accontentato delle briciole di potere che la sinistra gli concedeva. Nell’ultima legislatura gli unici due consiglieri di opposizione un minimo agguerriti sono stati Massimo Monni e Andrea Lignani Marchesani. Caso vuole che entrambi non siano stati rieletti. Adesso nel consiglio regionale sono arrivati leghisti e grillini, che in teoria dovrebbero essere meno accomodanti. Vedremo se il loro esempio spingerà anche il centrodestra a un’opposizione che non sia quella di Sua Maestà».

Quali errori ha commesso secondo lei Claudio Ricci?

«Continuo a pensare che la sua campagna elettorale sia stata sin troppo dimessa e anonima, poco incisiva, rispetto al desiderio di cambiamento che bisognava trasmettere agli elettori per spingerli a recarsi alle urne. Probabilmente ciò ha corrisposto al carattere riservato e poco amante delle ostentazioni di Ricci. Probabilmente non c’erano risorse economiche per impostare diversamente la comunicazione elettorale. Ma il risultato è che non è emersa alcuna ragione forte – dal punto di vista programmatico – perché gli elettori dovessero preferire lui alla Marini. Anche quelle regionali sono ormai campagne fortemente personalizzate, nelle quali i candidati debbono rendersi riconoscibili sul piano dell’immagine come su quello delle idee – agli occhi dei potenziali elettori. Si è fatto affidamento soltanto sulla stanchezza dei cittadini per la sinistra e la sua rete di potere e sulla buona nomea di Ricci come sindaco di Assisi: ma evidentemente non è bastato. Aggiungiamo poi il fatto che hanno poco funzionato le liste civiche di sostegno alla sua candidatura. La sua candidatura non è riuscita ad andare oltre il blocco elettorale storico del centrodestra».

Cosa pensa della composizione della nuova giunta regionale?

«Non discuto la qualità dei singoli assessori, anche se la mia impressione è che rischino di essere solo dei meri esecutori della volontà del governatore, con poca autonomia politica. La presidente Marini, da quel che mi sembra di capire, ha infatti operato come i suoi colleghi nel resto d’Italia. Ha tenuto per sé le deleghe più importanti: dal bilancio alla programmazione europea alla gestione dei fondi strutturali. In altre parole, si è tenuta stretta i cordoni della borsa. Le risorse che arriveranno in Umbria per essere spese nel settore della formazione come in quello della sanità passeranno insomma dal suo ufficio prima che da quello dei rispettivi assessori. Ciò le da un potere maggiore di quello che aveva, ma soprattutto le carica sulle spalle una grande responsabilità politica. Si è anche tenuta la promozione e l’internazionalizzazione dell’Umbria: il che significa il turismo e più in generale le politiche di comunicazione e appunto promozione tese a valorizzare nel mondo l’immagine del territorio e a creare nuovi mercati di sbocco per le imprese locali. A questo proposito di permetto di darle un modesto consiglio… ».

Messaggio in bottiglia.

«Sono reduce dall’Expo di Milano, dove ho avuto modo di visitare lo spazio che la Regione Umbria ha preso al suo interno alla Cascina Triulza. Non so quanto sia costato (ma si parla di una cifra davvero ingente) e chi l’abbia scelto, so di certo che è lo spazio espositivo più triste e inutile dell’intera manifestazione. A presidiarlo c’è un signore probabilmente un impiegato regionale – che osserva scrupolosamente l’orario d’ufficio (mentre l’Expo è aperto dalle 10 del mattino alle 11 di sera) e tutto quello che si offre ai rarissimi visitatori è qualche depliant o pieghevole illustrato. Di aziende umbre, delle molte che questo spazio avrebbe dovuto ospitare, non se ne vede che una: dei coraggiosi venditori di tartufi e prodotti derivati. Dire che sono rimasto sconcertato non rende l’idea. La Marini è persona intelligente e con una buona apertura intemazionale: capirà dunque da sola che non è così che si può continuare a promuovere l’immagine dell’Umbria e quella del suo tessuto produttivo. Spero dunque che su questo versante strategico il suo secondo mandato serva per cambiare e innovare sul serio».

4/continua