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Presentato ricorso al TAR contro biomasse a Città della Pieve

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(Comunicato stampa.)Lunedì 11 dicembre alle ore 21.00 si è tenuta presso la sede dell’associazione “Gruppo Ecologista IL RICCIO” a Città della Pieve una conferenza stampa di illustrazione del ricorso proposto al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) per l’Umbria dalla stessa assieme all’associazione di volontariato per l’ambiente “Il Ginepro” e assieme a cittadini co-firmatari, per il tramite dell’avvocato Valeria Passeri.

Il ricorso, che chiama in causa le istituzioni locali, è stato proposto per l’annullamento – sia per vizi propri sia per vizi derivati – della Determinazione del Settore Area Tecnica del Comune di Città della Pieve n. 11 del 18 settembre 2017 avente ad oggetto la procedura abilitativa semplificata per la realizzazione di un impianto di produzione di energia da fonti rinnovabili biomasse e delle relative opere ed infrastrutture connesse della potenzialità di 199 KWe da realizzare in Voc. San Donnino, proposta dalla società Società “Tecnologie Ambientali S.r.l.” di Rimini.

In data 12 novembre 2017, i cittadini di Città della Pieve, venuti inaspettatamente a conoscenza del progetto e senza alcuna preventiva partecipazione (in evidente spregio della Convenzione di Arhus), tenevano una pubblica assemblea, nel corso della quale, convenivano di adire l’intestato Tribunale a difesa del diritto a vivere in un ambiente salubre e sicuro, rispettoso dei valori culturali, paesaggistici e delle tradizioni agroalimentari locali nonché a difesa delle loro proprietà e attività agrituristiche, ivi numerose e come espressamente tutelate D.lgs. 387/2003 e s.m.i. e dal Decreto Ministeriale 10 settembre 2010.

Per il Presidente del Riccio che ha inaugurato la conferenza stampa, il grande problema è la mancanza di visione rispetto alle rinnovabili. “Con un mondo sempre piu sottosopra dal punto di vista climatico, ci servono le rinnovabili sostenibili, non quelle che incidono sul clima. Questa centrale dal punto di vista energetico ha un rendimento bassissimo, del 10% rispetto al combustibile impiegato. Il cippato che la alimenterà potrebbe essere usato in agricoltura o per la produzione di energia tramite fermentazione anaerobica, qui invece il calore va perduto almeno in questa prima fase di avvio – perché da progetto dovrebbe riscaldare delle serre del titolare dei terreni che però non risultano ancora costruite. Questo progetto è vantaggioso per l’imprenditore solo grazie agli incentivi per le rinnovabili elargiti dalla GSE, si parla di circa 400mila euro all’anno per impianti del genere, e non essendo previsti gli oneri di compensazione per il territorio dove ricade l’impatto è chiaro che è un progetto conveniente per l’imprenditore. La follia è che in un’Italia dove bruciano parchi nazionali ogni estate, e dove ormai la siccità la fa da padrone, si pensa di deforestare per produrre energia ‘rinnovabile’. Come gruppo ecologista siamo dovuti intervenire.”

I ricorrenti, nonostante i costi e la lungaggine del processo, hanno deciso di fare ricorso al TAR perché hanno individuato, con l’apporto di un equipe legale, delle violazioni della norma clamorose.

“La prima criticità – ha spiegato l’avvocato Valeria Passeri – evidente agli occhi dell’uomo comune, è che in un’area di particolare interesse archeologico, con ben 127 presenze archeologiche e aree indiziate, sia stato autorizzato un progetto di centrale a biomassa senza neppure la preventiva comunicazione alla Soprintendenza Archeologica, come invece prevede la normativa di settore. Non vuol dire nulla che sia un “piccolo” impianto, va comunque informata la Soprintendenza per accertare la sussistenza di procedimenti di tutela ovvero la procedura di accertamento di beni archeologici. In meno di un anno, da un sito individuato come meta turistica per valorizzare la cosiddetta tomba di Laris, ritrovamento unico ed eccezionale, si è passati invece ad autorizzare un impianto a combustione.”

L’avvocato ha anche illustrato come altrettanto eclatante sia la seconda criticità, ovvero la carenza di istruttoria. Nel procedimento di autorizzazione della centrale manca infatti una relazione da parte dell’autorità ambientale regionale ARPA, che si è espressa soltanto sull’elettromagnetismo della cabina elettrica e non è intervenuta minimamente sulla tipologia e provenienza delle biomasse, sul loro stoccaggio e trasporto, sullo smaltimento delle ceneri prodotte, ne invero sulle emissioni inquinanti, dato preoccupante considerato che l’area di approvigionamento dichiarata nel progetto, ovvero l’alveo del fiume Paglia, risulta essere fortemente inquinata da mercurio (piano d’indagine Regione Umbria su contaminazione Fiume Paglia).

Per i ricorrenti, la determina comunale è un mero richiamo sic et simpliciter di quanto unilateralmente affermato e prodotto da Tecnologie Ambientali s.r.l., e mancano alcuni dati fondamentali che possano sincerare in via definitiva il fatto che il “principio di precauzione” sia stato rispettato in toto nel fornire i permessi al privato costruttore.

Risulta piuttosto, ad un’analisi legale del procedimento, che le garanzie sancite dal principio di precauzione (rappresentato dall’art 191 del Trattato UE e, a livello nazionale dal d.lgs. n. 152/2006) siano state ignorate nell’iter di approvazione della centrale.

Il “principio di precauzione fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente, ponendo una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche proprie del principio di prevenzione. L’applicazione del principio di precauzione comporta dunque che, ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche, anche nei casi in cui i danni siano poco conosciuti o solo potenziali”.

Ancora una volta sono i cittadini che hanno dovuto attivarsi e sostituirsi alle istituzioni, anche perché il Sindaco di Città della Pieve sostiene di non avere saputo nulla sul progetto prima della richiesta di PAS da parte dell’imprenditore, ma è difficile credergli perché solitamente gli imprenditori non si muovono se prima non ci sono quanto meno delle garanzie verbali. E la mancanza di informazione preventiva da parte del Sindaco verso la cittadinanza ha portato ad una situazione conflittuale in cui i cittadini si trovano a chiedere un’alternativa a questa “industria verde” ma non hanno voce in capitolo.

Per l’avvocato Passeri “Il Comune dovrebbe porre sulla bilancia quello che il privato propone con quello che il pubblico propone. Qui abbiamo un procedimento amministrativo all’inverso, sbilanciato a favore dell’imprenditore. Quindi come non fare un ricorso al TAR? Al cittadino è permesso e doveroso fare ricorso.”

Inoltre, l’art 6 del Dgl 28/2011 prevede che i progetti debbano essere conformi agli strumenti urbanistici adottati dalla pubblica amministrazione, ai regolamenti edilizi e d’igene vigenti, quindi il Sindaco quale massima autorità a tutela della salute avrebbe dovuto valutare si fatta conformità prima dell’autorizzazione o quanto meno visto il comune dissenso della cittadinanza potrebbe revocare/annullare in autotutela il procedimento, come già avvenuto nel 2015 nel confinante Comune di Fabro.

Associazione Gruppo Ecologista Il Riccio