Home Rubriche Interventi Piccoli Comuni. Ricompare lo spettro della Fusione.

Piccoli Comuni. Ricompare lo spettro della Fusione.

Condividi

Fabro-  La fusione dei piccoli Comuni è tornata di moda. Questa volta a riportare in auge il progetto è uno studio del CNA umbro. Dalle pagine del Corriere dell’Umbria dei giorni scorsi, il CNA ha proposto una cartina dell’Umbria tutta colorata con i nuovi Comuni definiti dalle lettere dell’alfabeto. Passando da 92 a 30 comuni. Un risparmio considerevole per le casse dello Stato secondo lo studio degli esperti del piccolo artigianato che non fondono Comuni come Gubbio, Castiglione del Lago, Spoleto, San Giustino ed ovviamente le provincie di Perugia e Terni. Parlando pure di soldi che andranno a quei Comuni che andranno fondendosi. Mettendo così in conto alle amministrazioni un buon tesoretto da reinvestire in servizi come manutenzione stradale, istruzione, salute, ecc.

La questione fusione, non è la prima volta che si profila all’orizzonte. Basti pensare che a livello nazionale, già è attiva. Con appunto la scomparsa dei comuni con meno di 5 mila abitanti. Basti pensare ai piccoli Comuni del Trentino Alto Adige e del Veneto che hanno cominciato a fondersi da tanti anni perché rimasti con pochi abitanti. Mi vengono in mente loro, perché appunto di questi risparmi e di queste sovvenzioni non hanno ancora visto nulla. Se non un nome bruttissimo per il loro Comune. Si perché il più delle volte viene fuso pure il nome dei Comuni che vanno a scomparire. Delineando un nome frutto di tagli e cuci che riporta alla memoria la creatura fantastica di Frankenstein, nata dai resti di più cadaveri. Con la perdita dell’identità del piccolo Comune.

Nati il più delle volte tra il Medioevo ed il Rinascimento. Andrebbero a scomparire per sempre. Non calcolando le difficoltà non solo per quanto riguarda il rifacimento dei documenti. Ma pure negli investimenti in cultura e turismo. L’Italia è il primo paese al mondo per beni storici e culturali. Andate a spiegare ad un turista straniero che quel borgo non esiste più, ma adesso ha un nome impronunciabile. E che magari quel borgo deve dividere la sua ricchezza con un altro paese che non ha nulla a che vedere con la sua storia. Perché, è appunto di storia che parliamo. L’accorpamento della CNA non ha preso in considerazione la storia dei Comuni. Fondendo tra di loro realtà ben diverse tra di loro. Con un danno dal punto di vista turistico e di gestione. Chi meglio degli amministratori locali di una meta turistica può sapere quali servizi è bene offrire. Senza fare, erroneamente, di tutta l’erba un fascio.

Inoltre non prendono in considerazione che in alcune comunità già vi sono state le proposte di fusione, demandate dalla Regione. Nel non lontano 2014. Nell’Alto Orvietano ci fu un referendum promosso dai sindaci, per far scegliere ai propri cittadini se volersi fondere oppure no. Furono coinvolti i comuni di Monteleone d’Orvieto, Fabro, Parrano, Montegabbione e Ficulle. E vinse il No, e non solo. Alle successive amministrative, le amministrazioni vicine all’idea di fusione, non furono riconfermate nei tre casi su quattro.

Sempre dal Corriere dell’Umbria, il Direttore del giornale, parla di cittadini a cui va bene la fusione. Gli abitanti dell’Alto Orvietano lo invitano a vedersi su internet i festeggiamenti di quella notte, in cui la fusione dei Comuni fu rigettata al mittente.

Questo fine mese a Perugia, l’Assessore alle Riforme della Regione Umbria Bartolini, incontrerà 29 Sindaci con i responsabili dell’Anci Umbria. Per discutere di questo studio. A me viene in mente l’ultima emergenza che la nostra terra, l’Umbria, ha subito. Il terremoto. Nel quale vennero alla luce le problematiche di un piano emergenziale precario, perché troppo dislocato nel territorio. Con quei Sindaci, compreso quelli del vicino reatino. Dall’aria distrutta ed il telefono incandescente dalle chiamate di aiuto. Già in quell’occasione, in molti parlarono che la centralità dei servizi è una cattiva risposta per avere un servizio pronto ed immediato. Parlando pure della nuova non gestione delle Province. Che rimangono, ma depotenziate e con pochi soldi. A fronte di politiche di prevenzione e di urgenza insufficienti nell’immediato. Nulla a che vedere con il buon lavoro svolto dai volontari dagli uomini dell’ordine dopo il disastro. Qui nasce la domanda. Ma non sarebbe meglio potenziare le nostre periferie? Anziché far scomparire i piccoli Comuni, non sarebbe meglio unificare i servizi tra i Comuni attigui. Una scelta che per lo più, se sbagliata ti può permettere di tornare indietro, mentre con la fusione il Comune morirebbe per sempre.

Patrik Manganello