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La Fornace Frazzi torna a bussare!

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E’ tornata di nuovo ed ha, di nuovo, bussato alle nostre porte!

Ha sicuramente  un’anima questa Fornace che ha fatto buona parte della storia di Città della Pieve del secolo scorso. Questa Fornace non vuole essere dimenticata, non vuole che ci si scordi di lei, dei suoi mattoni, della sua argilla, delle sue ciminiere, dei suoi forni. Ma forse sono anche gli uomini e le donne che ci hanno lavorato, molti dei quali ci hanno lasciato che non vogliono cadere nell’oblio completo e si ribellano.

Sono lavoratori di una piccolo città e non sono numeri di una metropoli, vogliono un posto nella storia. E’ evidente. E allora si muovono si agitano e prendono contatti vari, ma sempre intelligenti, selettivi.

Prima prendono l’attenzione di un dirigente della più grande cooperativa italiana , la Coop consumo di Cremona, lo affascinano, lo incuriosiscono e gli regalono poi una volta vinto cartoni su cartoni di documenti, foro tracce di una storia di impresa e di lavoro che andrebbe insegnata nelle università moderne su come fare e non fare azienda e lavoro. Poi sempre questi fantasmi si accorgono di una archivista particolare, Terez Marosi, la fanno innammorare, ci riescono facilmente perché ha l’animo di chi riconosce il valore delle cose e delle storie e poi perché in quello scantinato umido dove sta l’archivio della CGIL cremonese ha bisogno di tanto calore che venga anche dalle carte.

Poi l’ultima tappa, l’aggancio con la Pieve, con Ponticelli, con la storia di quella fornace destinata al Sud che per circa trenta anni dominò i mercati del laterizio.

Un intrigo strano riportò in vita la Fornace. Il pallone cioè, il gioco più bello del mondo, e anche quello che sempre si sposa con la storia del popolo che lo circonda.  Così per un po’ di tempo  la Fornace Frazzi è tornata a rivivere, e qualcuno dice di avere visto addirittura per qualche attimo una ciminiera che fumava giù a la piana, tra quelle colline di argilla segnate dai prelievi. Ha vestito, la fornace,  panni moderni, avveniristici, nuvole,  rete, nomi strani, sito web, pagina wiki, tavoli multimediali, si è risentita viva, per qualche tempo ha quasi rivisto i piazzali pieni di camion e di tavelloni.

Ma l’incantesimo non poteva reggere a lungo, la dolce architetto che l’aveva ridisegnata è volata verso sud come l’estroso artigiano che l’aveva rifatta nel legno, il giovane designer che aveva ridato vita e volto ai ricordi e ai racconti ha ripreso la via del nord ed il maturo “costruttore” che aveva tessuto la tela è passato ad occuparsi d’altro. E così piccoli resti di questa nobile storia sono rimasti confinati in fondo ad una mostra che parla della natura della zona.

“ ah! quanto sa di sal lo pane altrui e quanto è duro calle lo scendere ed il salir per l’altrui scale”.

Questi versi del “ghibellin fuggiasco” devono avere assillato le ceneri della fornace in questi mesi ed ecco allora che riprese le forze, di nuovo unito gli sforzi ecco che la vecchia fabbrica si ripresenta sulla scena e chiede di nuovo udienza.

Come? Parte di nuovo dalla casa madre, da Cremona, la splendida città dei liutai e dei torroni, in riva al Po’. Parte di nuovo dal Galmozzi e dai suoi eredi  d’ingegno, va di nuovo da Terez e tira fuori qualche altro asso nascosto sinora nella manica. Foto nuove e per la prima volta foto del suo volto, dei suoi lineamenti dentro e fuori. Sembra dire “E adesso?” Che fate?Mi dimenticherete di nuovo?”

Poi dice qualcos’ altro che lì per lì, nel frastuono generale non si sente,  ma  calata un po’ la sera,  tendendo l’orecchio bene il suono delle sue parole è chiaro. La Fornace vuole un suo “museo vivo”!

Gianni Fanfano

 

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