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La cucina centro della casa e della vita

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Io immagino le prime “abitazioni”, credo siano state un riparo intorno al fuoco dove si cuoceva il cibo. La prima stanza-casa altro non era che una “cucina”. In seguito tale spazio è andato ad allargarsi formando altri ambienti fino ad evolversi in quella che viene considerata abitazione. Non a caso nel dialetto romagnolo “Andè in cà” significa andare in cucina.

In tempi remoti nella casa-cucina troneggiava un focolare al centro dell’ambiente e al centro del tetto un foro per la fuoriuscita del fumo. Man mano il focolare è stato spostato su una parete e il fumo indirizzato attraverso una canna fumaria. Ma le varie evoluzioni architettoniche della casa hanno sempre previsto la centralità della cucina.

A scompigliare le ragioni di questo assioma è stata l’aristocrazia che per lungo tempo, nei palazzi nobiliari e presso le corti, ha preteso l’ubicazione della cucina in un punto lontano dalle sale conviviali. Ed è interessante notare che Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V, nel suo trattato di cucina del 1570, dopo i consigli tecnici dell’organizzazione di una cucina, suggerisce, anzi raccomanda che la stessa venga ubicata in un luogo appartato (rimoto) del palazzo.

Diciamo che nel corso dei secoli si sono contrapposte due diverse concezioni di cucina. Quella aristocratica e quella del popolo. La prima nascosta, atta a celare il lavoro vile del cuoco, l’altra centro della vita sociale, alimentare e “narrativa” verrebbe da dire, pensando a racconti, canti, preghiere e idee che, prima davanti al cibo e poi davanti al fuoco, venivano tramandate. Alla fine di questa contrapposizione però sempre più ha guadagnato campo la cucina del popolo, soprattutto con il venir meno della servitù nelle case dei ricchi.

Colpo di scena! Le padrone di casa dovendosi occupare personalmente del cibo della famiglia non potevano andare a preparare in una zona remota della casa, rimanendo peraltro esclusa da quella convivialità pervasa di calore familiare che durante i pasti nutre al pari se non più del cibo stesso. Così, alla lunga, la formula di cucina contadina che si offre appena varcato l’ingresso della casa, accogliendo anzi abbracciando, è risultata vincente. Gli architetti hanno subito interpretato questa esigenza con abitazioni che prevedono una cucina bella grande e con un tavolo dove la famiglia può mangiare comodamente stringendo rapporti di affetto più solidi.

La tendenza è stata questa salvo una breve parentesi tra gli anni settanta-ottanta dove non era raro trovare nelle abitazioni cucine sempre più piccole e “bagni” sempre più grandi….che dire…come se fosse stato tenuto in maggior considerazione il cibo in uscita rispetto a quello in entrata…. Battute a parte, la storia ha sancito l’affermazione della cucina come fulcro della casa. E se qualcuno ancora nutrisse qualche dubbio su questa affermazione, rammenti i ristoranti che ostentano la cucina a vista, con il lavoro dei cuochi ben distinguibile. Questo tipo di locali sono sempre più numerosi e i tavoli dai quali più agevole è la vista dietro le “quinte”, sono i più ambiti. E così in un qualche modo i ricchi e i nobili hanno dovuto cedere il passo alla storia. E la storia la fa il popolo.

Nunzio Dell’Annunziata