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“La biografia sentimentale di una personalità simbolo di una generazione”

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Ieri è stato presentato anche a Città della Pieve, l’ultimo libro di Dunja Badnievic “Come le rane nell’acqua bollente”. La presentazione è stata curata dall’associazione “Arci Note”, nel villino accanto all’Hotel Vannucci, chiamato adesso “Villa Wirth” dal nome del nuovo proprietario dell’albergo pievese.  A parlare con l’autrice, Carmine Pugliese, Barbara Mastella, Alessandro Giuggioli. Quello che segue è il testo completo della mia presentazione del libro fatta a Chiusi alcuni mesi fa. (g.f)

 Nel presentare questo libro, dichiaro subito il tiro, come fanno tutti i migliori giocatori di biliardo. “ Sono un lettore ed un presentatore di parte” . Lo sono perché amico da anni di Dunja, da quando si è trasferita insieme al suo ultimo marito, Roberto Bonchio, a Città della Pieve. Amico e almeno per un tema quello politico, sono stato un compagno di strada e di avventura di Dunja, il suo vuoto, nella politica, è anche un mio vuoto. Lei forse ha rinunciato a riempirlo, io continuo a provarci. Lei continua ad avere un ricordo di quel vuoto senza ombre. Io ricordo luci ed ombre. Ma chi è Dunja?

Dunja Badnjević, nata a Belgrado, vive in Italia da quasi mezzo secolo. Sposata in Italia. Ha avuto due mariti italiani. Da diversi anni risiede a Città della Pieve, come dicevamo. Ha lavorato come redattrice e attualmente si occupa di traduzione e promozione della letteratura serba, bosniaca e croata in Italia. Ha tradotto per Adelphi, Editori Riuniti, Guanda, Ponte alle Grazie, Newton Compton, Jaca Book e altre case editrici. Per la collana Meridiani della Mondadori ha curato Ivo Andrić, Romanzi e racconti. Ha scritto prima di questo libro, nel 2008 “L’Isola Nuda” per Boringhieri, libro che ha vinto diversi premi internazionali. Libro che ha raccontato la figura paterna e la sua prigionia a Goly Otok, come comunista internazionalista dissidente rispetto al non allineamento di Tito ed alla scelta di campo” il non allineamento appunto ”fatta dalla Jugoslavia nell’immediato dopoguerra. Io l’avevo conosciuta come traduttrice diversi anni fa. Come traduttrice dell’autore slavo che preferisco, Ivo Andric, Uno scrittore che potrebbe essere definito il Manzoni, il Thomas Mann di quei paesi.

Un libro che io definirei come il racconto con quadri sovrapposti e mescolati, di una biografia, la biografia sentimentale di una personalità simbolo di una generazione del nostro novecento, una generazione fondamentale, quella che ne ha vissuto una metà la seconda, quella che ha vissuto il secondo dopoguerra. La seconda parte del secolo breve. Che in quel mezzo secolo si è formata ed ha assunto una identità fatta di valori, esperienze, professioni, vita, e che ha continuato a vivere dopo la fine del secolo breve dopo il 1989(…) una parte del nuovo secolo, con il 2001(…) ed il 2008(…) e quindi vive e scrive dentro tutte le grandi novità che si sono venute realizzando. In questo “caos organizzato” che stiamo vivendo. Una generazione che si è schierata con nettezza da una parte, quella degli sfruttati, dei deboli, dalla parte del cambiamento. Una generazione sconfitta, come vedremo, e che non riesce a collocarsi nel nuovo secolo. Nelle sue dinamiche storiche e politiche, ma anche semplicemente esistenziali, vitali relazionali.

Un libro che parla di “un grande vuoto”creatosi, composto da tre perdite fondamentali : la propria terra, la propria fede politica, la propria giovinezza. Non a caso termina con il funerale della madre quasi centenaria, dopo avere iniziato con un altro funerale, quello di Enrico Berlinguer e dopo avere parlato a lungo del funerale della sua patria,  la repubblica federale  jugoslava.

Dunja parla cioè della perdita della sua identità nazionale, con la frantumazione della Jugoslavia, della fede politica che ha arricchito in Italia all’interno della grande famiglia del PCI e soprattutto della perdita degli anni importanti e felici della giovinezza. Perché questo libro è un inno al “ricordo” ed alla “nostalgia”

Ma l’errore più grande che si potrebbe fare è quello di pensare che si tratti di un libro “personale”, “individuale””soggettivo”.

Si certo è così anche come ogni forma di espressione e comunicazione. Ma queste pagine sono la voce di un grande vuoto frutto di una grande tragedia collettiva ed individuale. Sono la voce, è duro doverlo dire, ma va detto, di una sconfitta. E quello che si legge in modo anche esplicito nelle parole di Dunja è che i responsabili di questa sconfitta non sono solo degli a avversari più forti, ma anche dei compagni di strada dei vinti più deboli a volte anche conniventi con il nemico.

Il libro non è un saggio, né storico, né politico,  è un racconto. Cadono su questa affermazione tutte le critiche che ho letto che sono di natura politica. Se volessimo discutere di politica di questo mezzo secolo breve e di questo quarto di ventunesimo secolo, dovremmo parlare dei tanti libri che sono stati scritti a riguardo. Da protagonisti diretti e non.  E potrebbe essere una bella occasione per nuovi incontri.

Quello di Dunja è anche, va tenuto presente, un libro simbolo di una generazione che ha vissuto la seconda parte del secolo scorso da protagonista o perlomeno frequentando mondi e ruoli protagonisti di quegli anni. Prima in Jugoslavia e poi in Italia e poi in Italia e Jugoslavia insieme.

Le famiglie del padre e della madre di Dunja erano due famiglie dell’aristocrazia professionale e terriera jugoslava, con un incrocio quasi didattico delle diverse componenti di quella terra che ha visto convivere tante origini diverse di razza e di religione. Un’aristocrazia, quella paterna soprattutto, che con lo scontro fra nazifascismo e democrazia nella seconda guerra mondiale fece una scelta di campo totale. Un salto dalla parte opposta dei propri interessi materiali. Il padre donò tutto allo stato. E la sua vita diventa un simbolo quasi tragico di questa scelta. Pur vivendo le conseguenze di questa scelta Dunja vive in un ambiente di grande stimoli e prevalentemente all’interno dell’ambiente intellettuale. Quando si trasferisce molto giovane in Italia, sposando un commerciante di Roma entra subito in rapporto con l’ambasciata jugoslava prima e poi con il PCI. Con il vertici del PCI, come interprete e come collaboratrice della storica casa editrice del PCI, gli Editori Riuniti.

Nel libro è come se Dunja guardasse lo  svolgersi, di nuovo, sotto i suoi occhi che ricordano, quei decenni cruciali che pure noi abbiamo vissuto. Ne vede gli effetti soprattutto, lascia alla critica storica e politica l’analisi.

 Due date fondamentali. 4 maggio 1980 morte di Tito. 11 giugno 1984 funerali di Berlinguer. Con la prima inizia la fine della Jugoslavia. Con la seconda inizia la fine del PCI. Gli anni 80 saranno decisivi per consolidare la vittoria a degli USA, del loro tentativo di imporre un mondo unipolare, la vittoria e del grande capitalismo internazionale, dove la finanza comincia a dettare regole alla produzione, e dove si gettano le basi della globalizzazione senza regole. I tentativi di Russia e Cina e dell’islamismo di opporsi verranno più tardi.

In Italia lo spartiacque sarà anche precedente. Fu fu il rapimento e l’assassinio di Moro cui parteciparono usando la follia brigatista ed estremista anche i servizi segreti di Russia e Stati Uniti.

Nel 1989 crolla il muro di Berlino, falliscono le riforme di Gorbaciov ed inizia la dissoluzione del blocco sovietico

Sempre nel 1989 qualche giorno dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto segretario del PCI, in un incontro con i partigiani bolognesi avvia il percorso che con due congressi quasi ininterrotti porterà nel 1991 alla trasformazione del PCI in PDS.

Nel 1992 inizierà la serie di processi chiamata “Mani pulite” che portò dopo la trasformazione del PCI in PDS alla chiusura di fatto della DC e del PSI ed alla fine di quella che è stata chiamata la prima repubblica, ci saranno una serie di attentati terroristici, questa volta di matrice mafiosa e entrerà in politica Silvio Berlusconi. Il resto è storia recente, quasi cronaca

Ma a dare un taglio tragico e beffardo a questa ricostruzione del contesto in cui si collocano le perdite ed i vuoti di Dunja cè una data il 24 marzo del 1999 Quel Belgrado fu bombardata. Fu bombardata da aerei della Nato che partivano dalle basi italiane ed anche da aerei italiani. A presiedere il governo in Italia c’ era Massimo D’Alema. Un ex comunista, un ex PCI. Resterà l’unico presidente del consiglio che è stato iscritto al PCI. Quel PCI che Dunja ricorda in anni diversi, come luogo fraterno nei suoi confronti e verso la sua patria.

Da un punto di vista politico si può dire che questo scorcio di storia segna la fine delle cosiddette “terze vie”. Nazionali ed internazionali. Chissà se in un nuovo momento si avrà qualche altra sperimentazione, perché comunque i fatti presenti ci dimostrano che di altre vie abbiamo, senz’altro, bisogno.

Per non sentirci tutti vittime di “Apolitudine”che è lo splendido termine che Dunja inventa, per definire la sua “malattia” e la sua “sofferenza”

 Per finire vorrei dire che ad alcuni di noi, quello che  potrebbe definirsi l’asse ereditario positivo” della storia raccontata da Dunja, hanno cercato di essere a loro  volta padri, padri di ideali, visioni, progetti modelli sociali, valori. Padri di nuove generazioni.

Chi,  ha preso in mano quell’ eredità, concretamente, in politica, soprattutto in Italia, invece, ha continuato come se fossero degli orfani di qualcosa che non esisteva più e che quindi addirittura dovesse essere rinnegata. Oppure, cosa ancora peggiore, continua ha recitare il copione della storia come se non fossero trascorsi decenni e non ci fossero stati esiti, sconfitte  e cambiamenti imposti dalla  storia.

E allora? Allora bisognerebbe scrivere un’altra storia ed un altro libro. E speriamo che ci sia tempo.

Meglio quindi concludere con una storia di tappeti. Dunja parla di alcuni tappeti, che l’hanno seguita nel suoi tanti spostamenti e che in qualche modo rappresentano la sua continuità affettiva. Allora dico a Dunja diamoci appuntamento ad un nuova chiacchierata fra amici, per riparlare di noi. Vicino a quei tappeti che anche io conosco.

Gianni Fanfano