Home Argomenti Cronaca Il Natale di una volta? C’è ancora e ci sarà sempre

Il Natale di una volta? C’è ancora e ci sarà sempre

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Alla fine anche i più iconoclasti, i più anticonformisti, i più fieri avversari della consuetudine, cedono al fascino delle feste natalizie. Se il tempo meteorologico aiuta e un po’ di neve ricopre i tetti, i bagliori danzano nelle pareti del camino acceso, il presepe si stende evocativo sotto l’albero illuminato…la magia è sicura, e per fortuna aggiungerei. A sancire questo sentimento basterebbe lo sguardo dei bambini. Non è retorica: l’essere umano è nutrito da innumerevoli sensazioni che vanno a placare e riequilibrare una sorta di appetito multiforme che ci accompagna nell’incerto cammino della vita. Non siamo solo pragmatismo, non siamo solo fantasia. Non siamo solo futuro non siamo solo tradizione. Senza lasciarci sedurre dal periodo delle feste, feste per antonomasia, avremmo tralasciato dal menù dell’esistenza una pietanza di assoluta salubrità.

Non entro nel merito dell’importantissimo valore religioso della ricorrenza, ma i credenti possono interpretare le mie parole come una metafora che allude anche a quel sentimento di fratellanza, carità e accoglienza che accompagna ogni buon cristiano sempre, ma con maggiore intensità nella ricorrenza della nascita di Cristo. Per cui attraversiamo le feste e le feste ci attraversano con quel ritmo scandito dai riti familiari, dalle visite…visite ai parenti intendo: quelle dal medico generalmente si faranno dopo: o per le grandi abbuffate, o per i buoni propositi di vita sana e morigerata che avevamo deciso per il nuovo anno. Pe quanto riguarda la regia di questo kolossal che va in scena dal venti dicembre fino all’Epifania, affidiamoci ai bimbi. Seguiamo quel loro candido incantarsi dietro le lucine colorate, li faremo contenti ed essi forniranno anche a noi, cinici guerrieri sbaragliati da un anno di lavoro e di incertezze, il giusto taglio per vivere la festività. La sintesi, l’arrivo e la partenza delle feste è il pranzo di Natale. Anche sotto l’aspetto religioso. Chi ha fatto “penitenza” col pesce nella cena della vigilia si apre ai piaceri… stavo per dire delle carne confondendo il sacro con il profano. Ai piaceri di preparazioni che includono la carne, ecco. Infatti nell’Umbria, ma anche in Toscana, si comincia il pranzo con i crostini caldi e freddi: fegatini, funghi, salsiccia e stracchino. Questi saranno in buona compagnia di qualche affettato della strepitosa norcineria umbra. Poi ogni famiglia ha un suo assortimento.

Un tempo prendeva degno posto in questa “overture” qualche funghetto sottolio, quelli misti, di novembre, quelli miracolosamente scampati al sugo e finiti prigionieri dei barattoli. Finito l’antipasto, se ci sono ospiti, dichiareranno solennemente di essere già pieni: “non siamo abituati a mangiare molto”….Ma la zuppiera fumante con i cappelletti fatti a mano annegati nel brodo di cappone e manzo, non ammette repliche ne abitudini alimentari. Si assaggia un po’ di brodo profumato dal parmigiano che annuncia le delizia della pasta fatta dalla padrona di casa. Quel formidabile scrigno di sfoglia saldamente sigillato contenente un ripieno di carne aromatizzato raffinatamente con una grattatina di noce moscata. ( Una rapida digressione: questa sorta di “contenitore” di pasta fu inventato per riciclare avanzi di carne nobilitandone e ingentilendone sapore e presentazione. Geniale. Ora se non stiamo attenti nei ristoranti servono il raviolo aperto: facciamo un sorriso, niente indignazione. Siamo a Natale e bisogna essere indulgenti Ogni epoca ha le sue stupidità. Attendiamo solo che qualche ingegnere inventi l’aeroplano senza ali, per andare in autostrada invece che solcare il cielo….).

Finito il brodo che notoriamente “accomoda” lo stomaco, un pezzetto di lasagne trova posto, ma solo un pezzetto, altrimenti gli arrosti… La carne diventa una portata veramente robusta, sontuosa, succulenta, morbida ma piacevolmente avvolta da sapide croccantezze, rappresentate dalla pelle arrostita dei pennuti alle crosticine delle altre carni. Inoltre solo per qualche appassionato, ci sarebbe da assaggiare cappone e manzo del brodo. I contorni spaziano tra patate, verdure saltate, sformati vari, tutti per mano nella più sfrenata fantasia. Ma un contorno che potrebbe benissimo rappresentare un secondo se non una portata completa, che coniuga tradizione, territorio e gusto: sono i cardi al forno. Generalmente vengono sbollentati, fritti e dopo conditi e infornati. Qualcuno si limita a formaggio e besciamella, altri allargano gli ingredienti fino a comprendere il ragù di carne. Sono fantastici in ogni versione. Ricordiamoci che ogni famiglia ha una propria sequenza di portate e di ricette che attendono “all’usanza” solo per grandi linee, salvo poi il ritenere, da parte delle famiglie stesse, la propria versione dei piatti aderente alla più rigorosa tradizione. Questa certezza viene ribadita con due ricorrenti frasi: “Come Dio comanda” e “E’ la morte sua.” Queste affermazioni ci riconciliano con la cucina dei nostri antenati e siamo tranquilli. Ora ritornando agli arrosti, vorrei ricordare una strepitosa preparazione che più umbra non si può: è il colombaccio, “la palomba” allo spiedo. Questa ricetta è interessantissima per il particolare intingolo che accompagna la carne: i fegatini e gli altri dentri si tritano e si soffriggono in un tegame, poi qualche foglia di salvia, olive, buccia di limone, capperi, qualche pezzetto di pane, un’acciuga dissalata e abbondante vino rosso. Quando il vino è diventato una riduzione, si filtra con cura e si pone la salsa nella “leccarda,” sotto le palombe che girano nello spiedo. Il grasso e il sugo dei colombacci, cola e insaporisce l’intingolo che dopo verrà irrorato sulla carne e andrà a bagnare anche un crostone di pane sul quale si servono i pezzi di palomba…..che spettacolo eh? Mi sembra di vederlo il piatto: quel colore brunito, di ambra, perfettamente intonato a riferimenti dell’immancabile rosso della tavola e i luccichii rubino da bicchieri di cristallo (il servizio “bono”) che accolgono il Sagrantino di Montefalco.

A questo punto è tempo di servire i dolci: panpepato, torcolo, cavallucci, crostata di noci, torrone panettone e pandoro. Eh sì, il panettone di Milano e il pandoro di Verona, perché gli italiani si sentono appartenenti ad una nazione solo a tavola…e come in un campo di battaglia con posate in pugno, difendono e onorano l’appartenenza adottando e facendo propri, senza problemi, i cibi che liberamente circolano nei sacri confini nazionali. Il cibo arriva dove non arriva la politica. Evvabene stappiamo questo spumante…col botto mi raccomando, assicuriamoci di non colpire nessuno con il tappo e poi genuflettiamoci riverenti all’altare della crapula, del consumismo e dell’”amore” concedendone almeno il “minimo sindacale” anche a chi notoriamente non possiamo soffrire. Inoltre liberiamoci per qualche giorno dal giogo del politically correct e rilassiamoci, sorridiamo, innalziamo bambini ed anziani a signori delle feste, poi una sorsata di spumante e… AUGURI DI CUORE. Passerà anche questa. Ah ah ah! Coraggio.

Nunzio Dell’Annunziata