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Di Maio scuote il sonno della politica umbra.

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Sembrava che queste elezioni regionali del 27 ottobre, in Umbria, vista anche la legge elettorale fatta su misura dalla sinistra che pensava di avere in eterno il consenso maggioritario dei cittadini, fossero  una normale routine di “avvicendamento di nomenklature”. In base alle elezioni più recenti, a quella del Pd e satelliti, si sarebbe sostituita quella della Lega e satelliti.

Il Pd con un finto “civico” in testa si apprestava a riconfermare, come minoranza,  una parte dei vecchi consiglieri. Stessa sorte per i 5Stelle. Il Polo civico nonostante la novità che rappresentava avrebbe faticato ad eleggere due consiglieri.

Fino a quando Luigi Di Maio non ha inviato la sua lettera alla direttrice della Nazione. Una lettera che è stata letta in diversi modi. Quello più ricorrente fa riferimento alla politica nazionale. E’ stato fatto un accordo di governo a Roma, fra Pd e 5Stelle, ora questo accordo si cerca di diffonderlo a livello regionale. Le prime elezioni sono quelle in Umbria e da qui si comincia. Ma è proprio così?.

C’è solo un problema per questa lettura. L’Umbria e le elezioni del 28 ottobre non sono un caso ordinario di politica, in una regione normale. Sono un appuntamento storico per questa regione. Si va al voto regionale perché è saltato il gruppo dirigente, politico ed istituzionale del Pd al governo. Ed è saltato per iniziativa della magistratura. Segno inequivocabile del cambiamento nell’orientamento dei poteri forti locali. Non solo ma l’Umbria è al capolinea di un ciclo storico che l’ha portata soprattutto nel primo ventennio di questo secolo tra le regioni meridionali, per tasso di sviluppo e per altri indicatori fondamentali della sua economia.

Nessuna politica seria può pensare di venirne fuori con l’ordinaria amministrazione e con un semplice cambio di colori delle bandiere.

E’ quello che hanno detto le liste civiche regionali quando si sono presentate. Occorre “rovesciare la piramide”, occorre “ripartire dai territori” “rimettere la politica con i piedi per terra”, costruire un’altra Umbria che intanto cominci a pensare al di la dei suoi confini in termini di progetti e di legislazione e soprattutto di risorse economiche.

Molti hanno cominciato a sproloquiare su questa lettera di Di Maio, leggendo forse solo i titoli dei giornali. Ma se questa proposta, forse un po’ tardiva, del leader dei 5Stelle venisse accolta ed applicata significherebbe una “rivoluzione” all’interno del sistema politico e civile di una regione che per lunghi decenni ha visto al potere soprattutto un sistema trasversale molto spesso “opaco e loggesco”.

“Vorrei essere più chiaro, – dice Di Maio, in un passaggio della sua lettera.- Tutte le forze che credono nel bene comune di questa regione facciano un passo indietro, rinunciando ai propri candidati presidente e mettano fuori dalle liste quei candidati che hanno avuto a che fare con il passato di questa regione e gli impresentabili. Chiediamo che sottoscrivano insieme a noi un appello ai cittadini, proponendo alle migliori risorse di questa regione di farsi avanti. Queste risorse ci sono. Chiedendo a una personalità all’altezza di proporsi come candidato presidente . Sosteniamolo e diamogli autonomia per formare una squadra di super competenti, senza interferenze della vecchia politica. Noi svolgeremo il nostro ruolo in Consiglio regionale”

Da Roma è semplice scrivere cose del genere, da Perugia è più complicato realizzarle. Sapendo appunto la storia di questa regione di cui dicevo prima. Sapendo come sono formati gli attuali partiti o meglio residui di partiti. Ma provarci è obbligatorio. Ed obbligatorio per Di Maio ed i pentastellati umbri, non annacquare la proposta, pensando magari a Roma. Altrimenti il distacco dei cittadini assumerebbe le forme inquietanti che sta assumendo. E per i 5Stelle, in particolare, sarebbero dolori. (g.f)