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Bertozzi (SEL): sanità, non è vero che spendiamo troppo

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Una interessante nota di Marco Bertozzi,  del Gruppo di Lavoro sanità di SEL, sulla spesa sanitaria in Italia e sulla evoluzione dei servizi in Umbria.(n.d.r )

  1. I dati parlano chiaro: non è vero che spendiamo troppo.

La spesa sanitaria pubblica italiana è molto inferiore rispetto a quella di altri importanti paesi europei. A fronte dei circa 2.481 dollari per abitante, in parità di potere d’acquisto, spesi in Italia nel 2012, inferiore alla spesa sostenuta dall’Irlanda (2.628 dollari pro capite) e poco più elevata della Spagna (2.190 dollari pro capite), il Regno Unito spende quasi 2.762 dollari pro capite, mentre Francia e Germania superano i 3.000 dollari, con importi pro capite rispettivamente di 3.317 e 3.691 dollari.

Il livello di spesa più alto si registra per i Paesi Bassi (4.375 dollari pro capite), quello più basso per la Polonia (1.065 dollari pro capite). In particolare la spesa italiana e’ attualmente di 111 miliardi di euro, pari a circa il 7 per cento del PIL, 11° posto in Europa, poco al di sopra di Spagna e Slovenia.

In sintesi spendiamo una cifra decisamente inferiore a quella di tutti i paesi Europei piu’ avanzati, con risultati, in termini di salute, inferiori solo a quelli della Francia (che spende molto di più).

  1. Qualificare la spesa si deve, tagliare ancora non si può.

La necessità di qualificare la spesa per destinarla a pratiche sempre migliori è una costante di tutti i servizi, sanitari e non, ma non va confusa artatamente con la necessità di operare risparmi, o meglio tagli, che si ripercuotono automaticamente sulla salute della popolazione. E nemmeno si può, come fa il governo, individuare di volta in volta dei presunti nemici (ieri gli insegnanti, oggi i medici ed i loro sindacati) da additare ai cittadini come nemici del cambiamento. Ma il Presidente del Consiglio, si sa, è abilissimo nel continuare ad attribuirsi i meriti di qualsiasi  piccolo miglioramento, in realtà determinato da contingenze internazionali, e ad addebitare le difficoltà a nemici creati ad arte.

  1. Meno propaganda, più partecipazione.

La strada giusta, però, è un’altra: ad esempio in un paese come il Regno Unito, molto simile a noi per quanto riguarda il Servizio sanitario nazionale (nonostante il ridimensionamento imposto dalla cura Thatcher e Blair), il tema della qualificazione del servizio viene affrontato coinvolgendo gli utenti ed i sanitari nel controllo della validita’ delle prestazioni, e non bombardando i primi con la propaganda ed i secondi con minacce punitive e sanzioni penali, con il risultato (o piuttosto lo scopo) di aprire sempre più la strada alla provatizzazione della sanità. Valgano per tutti il blocco da oltre sei anni del rinnovo contrattuale e del turn-over (comune a tutto il pubblico impiego, ad eccezione dei magistrati), che sta spingendo i sanitari verso la libera professione, ed ora il taglio di 208 prestazioni cosiddette “inappropiate”. Ancora  una volta si parte da un’esigenza giusta (ridimensionare un certo “consumismo” della diagnostica) e la si affronta nel modo peggiore: invece di investire in prevenzione, promuovendo tra  i cittadini una più consapevole attenzione a fattori di rischio e stili di vita, si tagliano le prestazioni gratuite, spingendo i cittadini più ricchi (quelli che possono permetterselo) verso il mercato della salute, e privando gli altri del diritto alla salute.

  1. Che cosa cambia in Umbria?

Anche in Umbria assistiamo purtroppo ad un abbassamento diffuso delle perfomances, misurate attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che in soli tre anni (2011-2013) hanno visto la regione, pur restando nella lista di adeguatezza, scendere dal 3° all’8° posto su base nazionale: una delle performances peggiori in Italia (Fonte: Ministero della Salute. 2015). In sostanza, viene messo in discusssione nei fatti l’assunto storico per cui “la sanita’ in Umbria funziona”, assunto oggi fortemente a rischio e smentito dai trend. In particolare, le criticità maggiori sono legate alla diminuzione dei trasferimenti statali accettati dalla Conferenza Stato-Regioni (42 milioni per il 2015), al blocco del turn over e dei contratti, alla precarizzazione dei rapporti di lavoro (con  conseguente fuga dei giovani medici ed infermieri verso altre regioni, dove vengono stabilizzati a tempo indeterminato), alla rinuncia progressiva ad un modello fondato su prevenzione, partecipazione, integrazione sociosanitaria. La stessa sanita’ territoriale e’ in profonda crisi un po’ in tutta l’Umbria: spiccano i casi di Perugia, dove l’assistenza domiciliare delle equipe medico-infermieristiche è praticamente in via di sparizione, o del Trasimeno, una realta’ a rischio elevato (invecchiamento, fenomeni di emarginazione giovanile e disagio in profonda ascesa, alti tassi di inoccupazione) dove i buoni livelli del passato sono messi in seria discussione dall’abbandono immotivato di investimenti promessi e deliberati, ma preoccupazioni analoghe sono presenti un po’ in tutti i territori della regione. E’ dunque il momento di cambiare passo, finché siamo in tempo, ribaltando la linea d’azione del Governo e facendo leva sulle tre risorse fondamentali di ogni buona politica sanitaria: la consapevolezza dei cittadini, la competenza del personale sanitario, la disponibilità di adeguati mezzi finanziari.

Sinistra Ecologia Libertà Umbria

Marco Bertozzi,

gruppo di lavoro sulla salute